sabato 31 dicembre 2016

Le Porcellane di Meissen



La Porcellana di Meissen o anche "Porcellana di Dresda" è stata uno dei primi esempi europei di produzione della porcellana, per tipo e modalità tecniche realizzative, sviluppata dal 1708 da Ehrenfried Walther von Tschirnhaus e dal suo aiutante Johann Friedrich Böttger, che ebbe il merito di introdurre i pezzi sul mercato.

Ehrenfried Walther von Tschirnhaus

Presto la manifattura di Meissen affiancò alla produzione di raffinate stoviglie (piatti, zuppiere, ciotole…) quella di figurine in porcellana, ispirate a quelle in zucchero che decoravano le tavole imbandite della nobiltà tedesca.


Sono proprio queste figure, la produzione più accattivante della manifattura, a essere ricercate dai collezionisti di tutto il mondo. Il loro valore è ovviamente legato all’epoca di produzione, ma poiché i pezzi non sono datati e gli stessi modelli furono utilizzati a più riprese è difficile fare distinzioni precise, in particolare tra la produzione settecentesca e quelle posteriori.
Il primo periodo è legato alla produzione realizzata sotto la guida di Johann Joachim Kandler, dal 1731 al 1774: egli puntò sul trionfo delle forme, in pieno spirito barocco e rococò. Invece, la successiva direzione di Camillo Marcolini (1774-1813) fu tutta improntata alle linee più semplici del neoclassismo.


I modelli rappresentati erano i membri della corte o i personaggi della Commedia dell’Arte. Furono poi aggiunti popolani in costume tipico, scene pastorali e mitologiche, cineserie, animali e soggetti tratti dalle stampe in serie Cries of London e Cries of Paris (raffiguranti spaccati di vita popolare cittadina).


La popolarità dei modelli e della produzione di Meissen era soggetta alle mode: se nei primi anni le figurine cinesi erano molto popolari, seguite dai personaggi della Commedia dell’Arte, con il cambio di secolo fecero la loro comparsa figure mitologiche e gruppi allegorici. Infine, alla fine dell’Ottocento, si registrarono un forte revival rococò e poi le prime prove Art Nouveau.

Vaso di porcellana - fine '800
Uno dei metodi più efficaci per datare un modello è la sua tecnica decorativa. Gli occhi sono il primo dettaglio da controllare: nel Settecento erano realizzati con una sola sottile pennellata, così come i capelli e le ciglia. Successivamente si impiegò maggior cura e il risultato fu più vicino al vero. Alle volte le palpebre erano addirittura modellate e non solo dipinte. L’iride nel Settecento è sempre marrone o grigia, mai blu, colore impiegato a partire dal secolo successivo.


Un aiuto può venire dall’esame del marchio: le spade incrociate (dallo stemma della Sassonia), cui si affiancano di volta in volta segni o lettere.


 Gli esemplari settecenteschi spesso presentano alcune crepe dovute al processo di cottura: queste non vanno confuse con rotture restaurate, ma sono dovute al processo di essiccazione e cottura che faceva contrarre ogni modello di circa il 20%. Con il progresso tecnologico questi difetti furono eliminati ed è molto raro vedere simili difetti nei pezzi prodotti successivamente. Lo stesso vale per la vetrina: nel Settecento è più soggetta alla presenza di tracce di cottura (punti neri, bollicine) ed altre mancanze; nell’Ottocento è meglio distribuita e priva di imperfezioni.


Le prime figure prodotte a Meissen poggiano su una semplice base, con fiori applicati, anche se a partire dal 1740 furono introdotte delle volute rococò. Il fondo è di solito piatto e privo di vetrina: un valido indicatore è l’assenza di vetrina anche a filo dei bordi della base. Le basi del periodo neoclassico imitano il marmo oppure sono circolari con una fascia decorativa alla greca; quelle successive sono una caricata riproposizione di quelle dei periodi precedenti, oltre ad essere cave e invetriate.


Sebbene i volti di Kandler appaiano piuttosto severi, le tonalità di colore sono molto vive e brillanti, le pennellate ampie e ben delineate, le figure sono dettagliate e, se in gruppo, sono modellate separatamente per poi essere unite.

Le figure del periodo Marcolini sono modellate in maniera rigida: i colori seguono le tonalità pastello sono applicate a larghe pennellate su figure classiche, mentre su quelle contemporanee piccoli fiorellini appaiono sugli abiti. I modelli del XIX secolo perdono vitalità e i colori sono piuttosto slavati. Poiché le prime figurine andavano collocate su tavoli, la decorazione e il modellato erano a tutto tondo; gli esemplari successivi, predisposti per essere collocati in vetrine, furono meno curati sul retro.



Meissen è una località situata vicino a Dresda e da quel momento ha attratto vari artisti ed artigiani. Nel 1720 è stato introdotto un marchio di fabbrica, per proteggere e garantire la produzione, che influenzò notevolmente l'intera produzione europea.

Meissen - Vista panoramica
Artista al lavoro
Marchio di fabbrica di Meissen

In Europa, invece, agli inizi del Settecento, Böttger credette di aver risolto il sogno antico degli alchimisti, ossia la trasformazione di materiali grezzi in oro. Quando il regnante di Sassonia venne a conoscenza di questo progetto, invitò Böttger a concretizzare presso la sua corte il suo metodo aureo di conversione, che però non produsse i risultati sperati.

Contemporaneamente, Tschirnhaus, matematico e scienziato, iniziò ad effettuare esperimenti con il vetro, quindi ebbe l'occasione di conoscere Böttger e di stringere con lui un rapporto di collaborazione. Alla morte di Tschirnhaus, il suo socio continuò l'attività e il primo laboratorio e la "Real Fabbrica di Porcellane" furono istituiti nel 1710, dentro il castello di Albrechtsburg di proprietà del regnante di Meissen, per realizzare porcellana dura. Nel 1861, essa venne spostata a Triebisch, nella valle di Meissen, dove la sede ufficiale della fabbrica di porcellane di Meissen si trova tutt'oggi.

Il primo tipo di porcellana prodotto prese spunto da modelli cinesi e da figure d'argento barocche. Successivamente vennero introdotte le decorazioni di oro e incrementate le colorazioni dei prodotti, il cui soggetto tendeva a raffigurare scene prese dal mondo animale, dalla natura, dalla vita portuale, dalla produzione orientale, giapponese (Arita porcelain) e indiana.


Nel corso degli anni lo stile delle porcellane mutò, passando da una tendenza rococo a una neoclassica, grazie al contributo del modelmaster Michel-Victor Acier proveniente dalla Francia. Originali e inedite furono le produzioni di pittura su porcellana, ad opera di Horoldt.

La produzione di porcellane è proseguita nel corso dei secoli, pur tra molte difficoltà e vari cambi di rotta, come quello avvenuto nel periodo dell'appartenenza al blocco sovietico. Attualmente è lo stato della Sassonia a dirigere l'attività artistica e commerciale.


Bruce Chatwin, nel suo romanzo "Utz" (1988), dedica gran parte del romanzo a digressioni storiche e aneddoti sulla porcellana di Meissen. Il protagonista infatti ne è un accanito collezionista e solo raramente cede nel possedere altri tipi di porcellana.

sabato 8 ottobre 2016

La Chiesa della Martorana o Santa Maria dell’Ammiraglio - Palermo (Sicilia)


La chiesa della Martorana, conosciuta anche con il nome di Santa Maria dell’Ammiraglio, sorge di fianco alla chiesa di San Cataldo nella piazza Bellini di Palermo ed è uno dei monumenti sacri più importanti e rinomati della città.


L’edificio, costruito in periodo normanno, risale precisamente al 1143: fu, infatti, realizzato da Giorgio d’Antiochia, ammiraglio di Ruggero II e dedicato alla Vergine Maria (da qui il nome).

Portale manieristico-barocco
La denominazione di Martorana deriva, invece, dal nome del convento al quale la chiesa fu donata nel 1433 dal sovrano Alfonso d’Aragona: il convento fu fondato da Eloisa Martorana e dal marito Goffredo nel 1194.

Un affresco della Martorana

Svetta in lontananza la torre campanaria a base quadrata, adagiata alla chiesa e posta di fronte al presbiterio della chiesa di San Cataldo. Risale al XIII secolo e presenta un insieme di elementi che la avvicinano allo stile gotico, con importanti influenze arabe: la base della torre costituisce l’ingresso alla chiesa e presenta delle aperture sovrastate da archi a sesto acuto sorrette da colonnine, mentre ai tre livelli superiori ripropone le medesime arcate che accolgono al loro interno, però, eleganti finestre bifore, cioè separate nel mezzo da una colonnina.



In origine la chiesa della Martorana era adibita al culto greco-ortodosso: la sua facciata è sobria, con un solo portale accompagnato da colonne in stile ionico nel primo ordine, mentre quello superiore ospita tre finestroni squadrati sovrastati da timpani; la facciata sembra rimasta incompleta, in quanto mancante del terzo ordine il quale generalmente presenta la forma a cuspide, a indicare la tendenza della chiesa a spingersi verso l’alto e verso Dio.

Per quanto concerne l’interno, bisogna ricordare i molteplici stravolgimenti architettonici che la chiesa ha subito nel corso dei secoli: quello principale ha visto il passaggio dalla pianta a croce greca a quella a croce latina, con l’aggiunta delle navate laterali (1588); l’originaria abside semicircolare venne sostituita nel XVII secolo con una di forma quadrata, opera di Paolo Amato; mentre l’intera struttura subì gli influssi del periodo barocco del XIX secolo.


Pianta della Chiesa
 Il contrasto con l’esterno è molto forte: all’apparente povertà e semplicità della facciata si contrappone lo sfarzo e lo scintillio interno delle arcate e del soffitto, interamente rivestiti da splendidi mosaici di scuola arabo-normanna.


Questo tema decorativo è formato da tasselli d’oro, risalenti al 1150 circa, che si estendono, soprattutto, lungo la parte superiore della chiesa: le arcate, la cupola, le absidi e le pareti laterali rappresentano, in questo modo, personaggi illustri ed episodi tratti dalla Bibbia. I più importanti e preziosi riguardano l’Incoronazione di Ruggero II consacrata da Cristo. Tutt’intorno sono presenti quattro figure che rappresentano gli arcangeli, oltre i patriarchi, gli evangelisti e tutti gli apostoli.


Il fulcro di tutta la composizione è il “Cristo assiso benedicente“, sulla sommità della cupola, con il mondo ai piedi e, distribuiti sulla volta della calotta, quattro angeli prostrati in atto di adorazione; alla base della cupola un fregio in legno di abete, scoperto nel 1871, reca un’iscrizione dipinta in bianco su fondo turchino, il cui testo, eccezionale esempio di convivenza tra culture diverse, comprende un inno della liturgia bizantina (il sanctus con Osanna e Gloria ) tradotto in arabo, la lingua madre di Giorgio d’Antiochia.


Cristo benedicente e quattro angeli, sulla cupola
All’interno della chiesa sono, poi, presenti elementi marcatamente atipici, come una incisione in arabo lungo tutta la parte emisferica della cupola recante un significato cristiano.
Ancora, i mosaici che raffigurano l’Ammiraglio Giorgio Antiocheno ai piedi di Maria, che rappresenta la benedizione ricevuta dalla Vergine Maria.


Interventi barocchi sono stati effettuati tra il 1870 e il 1873 da Giuseppe Patricolo che ha svecchiato l’interno della chiesa attraverso la rimozione dei rivestimenti marmorei delle pareti risalenti al Settecento e ha ricostruito la facciata secondo i canoni del tempo.


Il tempio ospita, poi, gli affreschi settecenteschi del pittore Guglielmo Borremans, il ritratto della Maria del Rosario di Zoppo di Ganci, e le decorazioni delle volte degli artisti Olivio Sozzi e Antonino Grano.
Una curiosità legata alla chiesa: questa ha dato il nome a dei dolci tipici del palermitano, la frutta martorana, realizzati per la prima volta nel XIX secolo dalle suore del convento della Martorana, le quali utilizzarono preparati a base di marzapane e gli conferirono la forma di frutti.

Frutta di martorana
I riti liturgici, le cerimonie nuziali, il battesimo e le festività religiose della parrocchia di San Nicolò dei Greci seguono il calendario bizantino e la tradizione albanese delle comunità dell'Eparchia di Piana degli Albanesi.


Le lingue liturgiche utilizzate sono il greco antico (come di tradizione, che nacque per unificare sotto un'unica lingua di comprensione tutti i popoli della chiesa d'Oriente) o l'albanese (la lingua madre della comunità parrocchiale). Non è raro qui sentire parlare abitualmente i papàdhes e i fedeli in lingua albanese, la lingua, infatti, è il principale elemento che li identifica in una specifica appartenenza etnica.

La Natività
Qualche fanciulla di Piana degli Albanesi si sposa ancora indossando il ricco abito nuziale della tradizione albanese e la cerimonia del matrimonio (martesa) conserva tutti gli elementi della tradizione ortodossa.

Matrimonio nella Chiesa della Martorana
Una festa particolare per la popolazione arbëreshe è la Teofania o Benedizione delle acque il 6 gennaio (Ujët e pagëzuam); la festa più importante è la Pasqua (Pashkët), con i riti orientali di forte spiritualità della Settimana Santa (Java e Madhe) e il canto del Christos anesti-Krishti u ngjall (Cristo è risorto). Il 6 dicembre ricorre la festa di San Nicola di Mira (Dita e Shën Kollit).
Dal 3 luglio 2015 fa parte del patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito dell'"Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale".

L'altare della Martorana

lunedì 12 settembre 2016

Il Presepe di corallo - L'antica arte dei corallai di Trapani

Presepe di corallo, argento dorato, rame, bronzo dorato di bottega siciliana, Trapani, XVIII sec.
Uno splendido esemplare di Presepe di corallo, argento dorato, rame e bronzo dorato è custodito presso la Galleria Estense di Modena. Da un documento del 1869 quest’opera – risalente al XVIII secolo e proveniente da una bottega trapanese – risulta segnalata come parte dell’arredo del Palazzo Ducale di Modena. E’ senza dubbio una delle espressioni più raffinate dell’arte della lavorazione del corallo che a Trapani raggiunse il suo apice fra Sei e Settecento ma che già a partire dal ‘500 – grazie al metodo di lavorazione al bulino sviluppato dall’artista Antonio Ciminello – riuscì a produrre sculture di piccole dimensioni in rosso corallo con risultati di estrema cura dei dettagli.
Il Presepe custodito a Modena, capolavoro che riprende gli stilemi della pittura di paesaggio tipici del ‘700 nonché l’allegoria del Cristianesimo che prevale sul mondo pagano, ambienta il tema della Natività all’interno di un’architettura classica diruta nella cui ricostruzione l’uso del corallo e dei metalli (compreso il prezioso argento dorato) raggiunge livelli di incomparabile bellezza.

Particolare del presepe di corallo, argento dorato, rame, bronzo dorato di bottega siciliana conservato presso la Galleria Estense di Modena – Trapani, XVIII sec.
L’arte della lavorazione del corallo, nella Trapani del XVII e XVIII secolo, ebbe applicazioni sia nella produzione di preziosi gioielli sia in quella di oggetti di uso liturgico o domestico.
Una delle sue peculiarità fu appunto la combinazione fra il corallo e metalli come l’oro, il bronzo, il rame. Ma se questo fu il periodo di maggiore fioritura di tale arte, già molto tempo prima – nel XII secolo – il viaggiatore arabo Idrisi, autore di celebri resoconti di viaggio e di mappe geografiche, magnificava la qualità del corallo siciliano.

Corallo bianco
Ad attivare però una vera e propria industria locale fu la scoperta, nei primi decenni del ‘400, sia a Trapani sia a San Vito Lo Capo, di numerosi banchi di corallo. Famiglie di origine ebraica addirittura emigrarono dal Maghreb per dedicarsi in Sicilia alla lavorazione e alla commercializzazione del corallo che sarebbe poi finito sui mercati di tutta Italia.
Il ruolo degli ebrei in quest’arte proseguì anche dopo la loro espulsione nel 1492 grazie ad alcuni esponenti della comunità convertitisi al cristianesimo i quali restarono a lavorare in Sicilia.

La pratica della raccolta del corallo veniva esercitata dai pescatori corallai che prendevano il mare con i ligudelli, barche appositamente attrezzate con la ‘ngegna una grossa croce di legno a
a bracci uguali, zavorrata con massi di pietra, alla quale erano fissate reti adatte alla pesca del corallo. Utilizzato nella lavorazione artigianale, il corallo era anche considerato un elemento naturale dotato divirtù apotropaiche e proprietà terapeutiche.


Nei primi decenni del ‘500 vennero scoperti lungo le coste della Spagna nuovi banchi di corallo, circostanza che andò ad incrementare ulteriormente l’arte trapanese con la realizzazione di opere sempre più complesse fino alla realizzazione di veri e propri capolavori.

Corallaro
Le maestranze impegnate in quest’arte erano di vario tipo: dai maestri corallari agli scultori; ai primi toccavano forme di lavorazione relativamente più semplici come la rimozione della patina arancione (cenosarco) con tenaglie, appositi raschietti in ferro e pietra molare, e la conseguente riduzione del corallo in piccole sfere poi bucate con il fusellino; queste erano destinate alla realizzazione di rosari, collane e bracciali.


Gli scultori si applicavano invece su rami di corallo di maggiori dimensioni, ottenendo con il bulino vere e proprie piccole sculture o pregiati cammei.


Queste doti creative degli artigiani ed artisti trapanesi – fra cui presto cominciarono a distinguersi singole figure come quella di Matteo Bavera, un frate laico francescano – attirarono l’attenzione di committenti importanti come il viceré di Sicilia che per il re Filippo II di Spagna fece realizzare nel 1570 una Montagna di corallo, purtroppo andata perduta; altri oggetti furono realizzati per essere donati in circostanze importanti, come il Capezzale con la Madonna di Trapani, di cui fatto omaggio a Vittorio Amedeo di Savoia in occasione dell’incoronazione avvenuta a Palermo nel 1713 ed ora esposto presso il Museo Interdisciplinare Regionale “Agostino Pepoli” di Trapani.

Capezzale con la Madonna di Trapani - Museo Agostino Pepoli
I Maestri trapanesi disposero di una prima tecnica per applicare sui loro lavori i tanti dettagli in corallo. Si trattava dell’antico metodo del retroincastro, consistente nel fissare appunto dal retro di una lamina di rame forata gli elementi in corallo avvalendosi di una speciale colla a base di pece, cera e tela, e ricoprendo poi il tutto (sempre nella parte porteriore) con un’altra lamina ornata talora con incisioni e punzonature.

Scrigno portagioie - Museo Pepoli
 La superficie degli oggetti risultava così riccamente ricoperta di corallo secondo un tipo di decorazione arabo-islamica detta “a tappeto”. Alla fine del ‘600 si affermò invece la tecnica della cucitura del corallo per mezzo di fili metallici e piccoli perni, il cui unico neo era quello della maggiore facilità con cui gli elementi in corallo tendevano a staccarsi.


L’affinamento dell’arte della lavorazione del corallo stimolò inevitabilmente l’estro creativo dei maestri corallari di Trapani, che dal realizzare piccole sfere, “olivette” e virgole nel rosso materiale marino si spinsero a scolpire motivi vegetali e floreali sempre più ricercati, dettagli dalle linee complesse un tempo impensabili, trasferendo in questo campo forme e stilemi tipici del gusto barocco normalmente riscontrabili in pittura ed architettura. Ecco allora apparire i primi presepi, paliotti d’altare, calici da messa e i fantasiosi trionfi spesso ispirati ad opere architettoniche o alla pittura di paesaggio.


Questi meravigliosi manufatti divennero oggetto di un vero e proprio fenomeno di collezionismo in tutta Europa, diffusione che è all’origine della presenza di opere coralline trapanesi in numerosi musei, italiani ed esteri. In Italia uno dei musei più importanti è senza dubbio il Museo Pepoli di Trapani che dispone di una ricca sezione dedicata al corallo.

Museo Pepoli
Fra gli oggetti più pregevoli non si può non ricordare la Lampada pensile realizzata nel ‘600 dal citato Matteo Bavera, ritenuto autore anche dello straordinario Crocifisso scolpito in un unico pezzo di corallo.
Lampada pensile - Museo Pepoli
Come già altre forme di lavoro manuale creativo, anche l’arte del corallo ha conosciuto un lungo periodo di declino iniziato già un secolo fa con il progressivo abbandono dell’artigianato in Italia, ma da circa un trentennio si sta assistendo a Trapani ad un progressivo recupero di quest’arte, con una vera e propria riscoperta delle tecniche tradizionali, grazie alle quali si è tornati a produrre oggetti di grandissimo pregio.